Con Eden, Ron Howard si confronta con uno dei più enigmatici misteri del Novecento, ispirandosi alle controverse vicende avvenute sull’isola di Floreana, nelle Galápagos. Il film, tratto da una storia vera – o da ciò che ne resta nei racconti frammentari dei sopravvissuti – si muove sul filo della tensione psicologica, cercando di trasformare un intricato caso di sparizioni, gelosie e ambizioni coloniali in un dramma esistenziale sull’utopia e il fallimento umano.
La trama: una comunità utopica destinata al collasso
Nel 1929, il filosofo tedesco Friedrich Ritter (Jude Law) fugge dalla Germania per rifugiarsi sull’isola di Floreana, nelle Galápagos. Con la sua compagna Dore Strauch (Vanessa Kirby), abbraccia una vita spartana, sopravvivendo con risorse limitate in totale isolamento.
La loro solitudine viene interrotta dall’arrivo di Heinz Wittmer (Daniel Brühl), un veterano della Prima Guerra Mondiale, con la giovane moglie Margret (Sydney Sweeney) e il figlio malato Harry (Jonathan Tittel), i quali sperano che l’aria incontaminata possa curare la tubercolosi di Harry, proprio come sembra aver alleviato la sclerosi multipla di Dore. Ritter e Strauch guardano i nuovi arrivati con scetticismo, convinti che non sopravvivranno alla prima stagione delle piogge. Ma la famiglia sorprende tutti, adattandosi e costruendo una nuova vita.
L’equilibrio già fragile viene spezzato dall’arrivo della Baronessa Eloise Bosquet de Wagner Wehrhorn (Ana de Armas), accompagnata da due giovani amanti e dal progetto di trasformare l’isola in un resort esclusivo. Seducente, manipolatrice e imprevedibile, scatena tensioni tra i coloni, trascinandoli in un vortice di sospetti e ossessioni. L’utopia si sgretola e il sogno di libertà si trasforma in un incubo.

Tra utopia e follia: un film alla deriva
Ron Howard si confronta con una storia affascinante e piena di potenziale, ma Eden fatica a trovare la sua identità. Il film parte con il passo giusto, costruendo un’atmosfera densa di mistero, ma si perde lungo il cammino, incapace di decidere se essere un thriller, un dramma storico o una satira sul fallimento delle utopie.
L’incipit è intrigante. Howard cattura con efficacia l’isolamento e l’austerità della vita su Floreana, tratteggiando il contrasto tra il rigore ascetico di Ritter e la speranza ingenua dei Wittmer. Ogni sguardo, ogni gesto suggerisce un sottotesto di diffidenza e rivalità. L’arrivo della Baronessa amplifica le tensioni e il film sembra avviarsi verso una spirale di paranoia e conflitti, con la natura selvaggia dell’isola che riflette la crescente instabilità dei protagonisti.
Eppure, questa tensione si disperde lungo la narrazione. Il film alterna momenti quasi documentaristici a sequenze di dramma psicologico, ma senza mai approfondire davvero le sue tematiche. Il sogno utopico che diventa distopia resta uno spunto affascinante, ma non viene sviluppato con il peso drammatico necessario mentre il tono si fa incerto. Il risultato è un film che sembra sempre sul punto di esplodere, ma che non affonda mai il colpo.
Il cast: un ensemble al limite
Il cast offre interpretazioni potenti, ma non tutte trovano il giusto spazio.
Jude Law si abbandona completamente al ruolo di Ritter, un uomo che deifica Nietzsche e vede sé stesso come un demiurgo di una nuova civiltà. Il suo è un ritratto magnetico e disturbante, tra carisma e arroganza, con un’energia animalesca che lo rende tanto affascinante quanto inquietante.
Vanessa Kirby regala a Dore una rabbia repressa che cresce scena dopo scena. È stanca, frustrata da un rapporto in cui si occupa di tutto mentre Ritter si dedica alla sua personale missione filosofica. C’è una ferocia nei suoi sguardi, una disperazione palpabile nella sua fisicità. Peccato che il film la metta in secondo piano nel corso della narrazione, non dando una giustificazione a tutte le sue scelte.
Daniel Brühl è il più misurato del cast, offrendo un’interpretazione sottile e intensa. Il suo Heinz Wittmer è un uomo segnato dalla guerra, in cerca di redenzione, ma sempre in bilico tra speranza e disillusione.
Sydney Sweeney, al suo fianco, è invece la scelta più sbagliata dell’intero cast, con un’interpretazione carica di alti e bassi. Sicuramente riesce a rendere credibili i momenti in cui Margret trova il coraggio di farsi valere, ma il suo accento tedesco è poco convincente e forzato, e la sua presenza sullo schermo ha un’energia troppo contemporanea, che rende difficile credere al suo personaggio in un contesto storico.
L’altra giovane attrice, Ana de Armas, punta tutto su una performance teatrale e sopra le righe, ma il suo personaggio resta ambiguo. La Baronessa è seducente, manipolatrice e pericolosa, ma il film non chiarisce mai se il suo fascino sia una maschera fragile o una minaccia reale. Il rischio è che il personaggio risulti più caricaturale che inquietante, e non si comprende mai se è a causa della sceneggiatura o di un’interpretazione sbagliata.
Un paradiso senz’anima: il paradosso visivo di Eden
Dal punto di vista visivo, Eden adotta un’estetica desaturata e cupa, che ben si adatta al progressivo deteriorarsi dei rapporti tra i personaggi, ma che risulta applicata in modo uniforme e poco ispirato. La fotografia, invece di riflettere l’evoluzione psicologica o emotiva dei protagonisti, rimane prigioniera di un filtro costante che appiattisce ogni variazione tonale dell’isola. Anche nei momenti iniziali, in cui Floreana dovrebbe apparire come un eden incontaminato, fertile di possibilità e promesse, l’immagine conserva la stessa cupezza monocroma. Questo scollamento emotivo tra il paesaggio e la narrazione visiva impedisce allo spettatore di percepire l’ambiente come un vero personaggio della storia. Il risultato è un film visivamente opaco, che spreca la potenziale forza iconica dei suoi scenari naturali. La bellezza selvaggia dell’isola rimane fuori fuoco, come un sogno mai completamente afferrato.
Un’occasione mancata
Eden parte con grande potenziale, ma si disperde in un racconto che non sa scegliere una direzione. L’idea di raccontare il lato oscuro dell’utopia, la fragilità delle comunità isolate e il confine sottile tra civiltà e barbarie poteva dare vita a un thriller intenso e claustrofobico, ma la sceneggiatura resta troppo vaga, le dinamiche tra i personaggi si perdono e la tensione non esplode mai davvero.
Un film affascinante sulla carta, ma che si arena senza trovare il suo equilibrio.
In sala dal 10 aprile, distribuito da 01 Distribution, in esclusiva per l’Italia grazie a Italian International Film (Gruppo Lucisano) in collaborazione con Rai Cinema.