Presentato a Cannes 2023, l’ultima impresa di Paolo Sorrentino ha fatto parlare di sé fin da subito. Il film ha riscosso un successo alle candidature ai David 2024. Parthenope si presenta come un film che travalica i confini della narrazione lineare per divenire un’esperienza visiva, antropologica e mitica. Non è una semplice storia, ma un affresco vivente, una sinfonia visiva dove ogni inquadratura è un dipinto, ogni volto una maschera ancestrale, ogni silenzio un richiamo alla memoria collettiva di una città eterna: Napoli. Più che un film, è una vera analisi antropologica del rapporto della vita dell’uomo/donna nella sua città.
Sorrentino eleva la regia a pittura: ogni inquadratura è costruita come se fosse una tela rinascimentale o metafisica. Composizioni simmetriche, uso sapiente della luce naturale e artificiale, colori saturi che evocano il barocco napoletano. Ogni immagine è un frammento pittorico che va ad arricchire la “chiesa sorrentiniana” di affreschi: messi uno accanto all’altro, ci restituiscono un’immagine di Parthenope donna e un’immagine di Parthenope città. Sorrentino trasforma così il suo cinema in un luogo sacro, un altare visivo in cui si compie un rito di riconciliazione con il mito.
Il film può essere letto come una tripartizione esistenziale: infanzia, giovinezza, maturità. Analizza la vita della protagonista senza un vero e proprio arco narrativo canonico. Sorrentino non presenta queste fasi in ordine cronologico né le separa nettamente. Esse convivono, sovrapponendosi come livelli di una coscienza stratificata. La protagonista attraversa le tre stagioni senza soluzione di continuità: l’infanzia come sguardo incantato sul mondo, la giovinezza come perdita dell’innocenza, la maturità come nostalgia e ritorno. Questi momenti non sono semplici fasi della vita, ma archetipi. È come se Parthenope vivesse tutte le età contemporaneamente, nella stessa città che le contiene e le riflette.

L’antropologia, nel film, non è solo la disciplina accademica studiata dalla protagonista, ma la chiave di lettura dell’intera opera. Parthenope è un film antropologico nel senso più puro: osserva, documenta, interroga l’essere umano nel suo contesto, nella sua ritualità quotidiana e nei suoi miti fondativi. E Napoli è il soggetto principale di questo studio. La città non è solo sfondo, ma personaggio: madre e carcere, amante e memoria. Parthenope è Napoli. Il suo corpo e il suo sguardo incarnano la città, il suo dolore e la sua bellezza. Il film diventa così un’indagine poetica su come la città forma il cittadino, su come ne plasmi desideri, illusioni, traumi e nostalgie.
Napoli non è soltanto la culla di Parthenope, ma anche la sua prigione. La fuga è necessaria, quasi inevitabile, ma il richiamo della città è costante. Napoli ti trattiene anche quando ti respinge. Non si sfugge a ciò che si è. Così, la città si fa labirinto emotivo, fatto di memorie, odori, suoni, gesti che definiscono l’identità di chi la abita. Parthenope rappresenta la persona che vuole cambiare, ma senza che tutto cambi: desidera trasformarsi, senza recidere il legame con ciò che l’ha generata.