In “L’amore, in teoria“, nelle sale dal 24 aprile, Luca Lucini torna alla commedia sentimentale. L’amore diventa un racconto dallo sguardo disincantato e confuso della Generazione Z. Una storia dolce e ironica in cui ci si muove nei diversi tentativi sul dare forma a questo sentimento. Tra l’idealizzazione e la paura, il vero dilemma resta il come lasciarsi davvero andare.
Protagonista è Leone (Nicolas Maupas), un ragazzo di 23 anni che deve affrontare un’intera storia d’amore finita senza nemmeno essere cominciata. Non per mancanza di intenzione, ma per quella difficoltà tutta contemporanea di abitare davvero i sentimenti. Di fronte all’amore, Leone inciampa, tergiversa, si rifugia in teorie su ciò che dovrebbe provare, senza mai sentire davvero.
“Non si tratta di un amore idealizzato – racconta Maupas – ma di qualcosa di più realistico e imperfetto, come lo viviamo noi. C’è insicurezza, confusione, e soprattutto la paura di lasciarsi andare.”
Una confusione che, come Maupas ha spiegato durante la conferenza stampa svoltasi il 16 aprile 2025 al Cinema Barberini di Roma, rappresenta bene la generazione di cui fa parte:
“Leone è in un momento di grande confusione, e questa confusione fa parte sicuramente della nostra generazione. Al di là di un tentativo di essere trasparenti e lucidi nel parlare dei sentimenti, finiamo per aprire tantissime porte. E quelle porte, poi, ci portano a porci domande e ad avere paura su altre cose”.
Non si tratta però di un’analisi teorica o accademica. “L’amore, in teoria” tocca qualcosa di profondamente umano, e lo fa con una leggerezza consapevole, mai banale. “Consigli pratici non ne avrei – ha proseguito Maupas – ma parlando da Leone, direi di buttarsi, perché è una materia che va toccata con le mani in pasta. Bisogna dedicarsi ai sentimenti, non mantenere una distanza di sicurezza”.
Proprio sul tema dei sentimenti, tra il serio e il surreale, è intervenuto in conferenza anche Francesco Salvi, che nel film interpreta il padre putativo di Leone. Con il suo tono ironico e il suo stile inconfondibile, Salvi ha gettato uno sguardo più ampio, quasi esistenziale, sul tema dell’amore e delle generazioni:
“Non seguite i miei consigli, io stesso ci provo ma non ci riesco. Ogni tanto mi do retta e mi rovino da solo con le mie mani.
Questi ragazzi stanno cominciando a provare le cose che noi abbiamo vissuto ai nostri tempi. Ma io non sono un campione della mia generazione, anche perché non conosco nessun coetaneo… sono tutti scappati!”
Con una comicità che tocca anche il paradosso, Salvi ha raccontato di aver attraversato l’amore quasi inconsapevolmente, più concentrato sulla creatività che sulle relazioni. “Quando mi sono domandato ‘cosa sto facendo?’ ero già sposato da anni”, ha detto sorridendo.
E poi, con il suo tono spiazzante e sincero, ha concluso:
“Credo che il modo migliore di comportarsi sia scegliere qualcuno o qualcosa da amare – una persona, un oggetto, un animale… Io per esempio volevo sposare mio fratello, ma lui non era d’accordo e mi picchiava. E lì ho provato il dolore dell’amore”.
“La speranza – ha aggiunto – è trovare un senso, o più sensi: trovare davvero una persona che ti piace e a cui piaci. E vivere”.
Parole che, nel loro essere buffe e malinconiche, risuonano profondamente con il cuore del film: un racconto che non cerca certezze, ma accoglie il dubbio, l’imbarazzo, l’errore.
Lucini, che aveva già firmato film come “Tre metri sopra il cielo” e “Amore, bugie e calcetto“, racconta di essersi avvicinato al progetto con grande curiosità, spinto dal soggetto di Gennaro Nunziante e dalla voglia di mettersi in ascolto di un’altra generazione. “Mi affascinava la possibilità di tornare alla commedia romantica, ma con uno sguardo nuovo. Con le sceneggiatrici Amina Grenci e Teresa Fraioli abbiamo lavorato per costruire un mondo credibile, vicino al modo in cui i ragazzi vivono oggi le relazioni.”
Il risultato è una commedia leggera, ma capace di toccare corde profonde. Leone è un protagonista diverso dai soliti. Non è il classico ragazzo sicuro di sé, ma un giovane timido, un po’ impacciato, che fatica a trovare la sua voce. Un “sottone”, per usare il termine generazionale, ma anche un ragazzo dolce, trasparente, a suo modo disarmante. “Mi sono rivisto in alcune sue insicurezze”, ammette Maupas. “La sua difficoltà non è solo a relazionarsi con l’amore, ma con l’idea che ha dell’amore. E questo lo rende molto simile a tanti ragazzi della mia età”.
Nel film, la relazione più centrale è quella tra Leone e Flor (Martina Gatti), una ragazza indipendente, allergica al sentimentalismo e ai cliché romantici. Due anime diversissime, ma ugualmente confuse. Nessuno dei due riesce a gestire davvero le emozioni, e la loro storia si costruisce (e si inceppa) nel tentativo di trovare un punto d’incontro tra il desiderio e la paura.
Attorno a loro, una costellazione di personaggi che rappresentano altri modi – spesso disfunzionali – di vivere l’amore: tra chi lo rifugge, chi lo consuma in fretta, chi lo cerca online e chi ne ha fatto una ferita mai rimarginata. “Tutti i personaggi hanno un problema con l’amore – spiega Lucini – è un sentimento che oggi sembra spesso paralizzarci, più che farci vivere”.
Girato a Milano, tra Corvetto, la Statale e piccoli locali di quartiere come il Meneghino, il film ha una forte identità urbana e contemporanea. Anche la colonna sonora, firmata da Tananai, contribuisce a creare un’atmosfera giovane e riconoscibile. “La musica ha dato un’anima sonora al film che vibra con la storia”, dice il regista.
“L’amore, in teoria” non dà risposte, ma invita a porsi domande. E lo fa con uno sguardo tenero e ironico su quel disordine emotivo che è proprio di chi ama, o prova ad amare, anche quando non sa bene come si fa.
“L’amore, in teoria“, in sala dal 24 aprile, è distribuito da Vision Distribution.