Il primo “Primo Maggio” non lo dimentichi. Vale un po’ per tutte le prime volte, lo so. Non mi aspettavo, però, che potesse essere davvero così indelebile. Faccio questo lavoro perché, in fin dei conti lo so, ne sono dipendente. Come una droga, assimilo ogni singola esperienza e la porto con me nel cuore.
Già lo scorso anno era stato magico: da spettatrice, attaccata alla transenna, sotto la pioggia del Circo Massimo. Roma era mia, non importava quanta gente ci fosse. L’ho scelta, l’ho amata e mi ha restituito tutto l’abbraccio che sono in grado di dare. Una stratta indelebile che quest’anno mi ha attanagliato la bocca dello stomaco.
Il Concertone di Roma, però, è molto più che un semplice concerto: è un rito collettivo, una tradizione che attraversa generazioni. Quasi una coccola che arriva fedele. Il Primo Maggio si guarda il Concertone, magari anche completamente sfranti successivamente alla grigliata di carne fatta con gli amici. In questo caso, la sorte ha girato e inaspettatamente – con tutti gli sforzi del caso – siamo arrivati a quel tanto ambito backstage.
La ricerca della propria voce
Un evento imponente, capace di trasformare la musica in messaggio, la voce in lotta, il palco in megafono per i diritti. La line-up curata da Massimo Bonelli e dalla sua squadra ha messo al centro temi che non possono più aspettare: la sicurezza sul lavoro, la libertà di espressione, il femminismo, la Palestina, i salari, la cittadinanza, i privilegi che tali non sono. Temi importanti, fondamentali, che molto spesso non da tutti vengono capiti. Nei giorni successivi, i social hanno mostrato il reale specchio di questa società fatta di ben pensanti o di “timorati di Dio che sputano merda e premono invio”.
Una cassa di risonanza usata nel modo più negativo possibile. Il che vanifica tutte le parole che spese dagli artisti durante la durata dell’evento. Il che ci spinge a un’ulteriore riflessione: ha davvero senso usare la propria voce, quando questa viene ignorata? Sembra quasi rumore bianco. Non importa quale bandiera si voglia alzare o sventolare, gli “odiatori continueranno ad odiare”. Generando, in questo modo, un continuo loop dall’amaro in bocca. Il che rende vacuo ogni tentativo di diffondere cultura. Perchè si, la musica è compagnia, ma è soprattutto un mezzo di comunicazione potentissimo. Unisce e divide i popoli, ma fin dall’alba dei tempi è stata veicolo di moniti e informazioni. Un modo per far si che il sapere si diffondesse e che le leggende continuassero a persistere.
Torniamo al nostro Concertone e lasciamo da parte gli eventuali moralismi
Non tutto è stato perfetto. Il sole ci ha accompagnati, ma l’ospitalità è finita in meno di un’ora, la sicurezza è stata carente, e trovare dell’acqua – in un luogo dove le borracce erano vietate – è diventata un’impresa. Alcuni sono usciti per bere e non sono più potuti rientrare. Io stessa ho rischiato di svenire non riuscendo più a deglutire la mia stessa saliva. Qui, però, subentra la sensazione di dipendenza sopracitata: nulla avrebbe potuto scalfire questa l’esperienza. Ha solo reso più evidente quanto si possa (e si debba) ancora migliorare. Se si deve essere “uniti per un lavoro sicuro”, automaticamente a chi sta lavorando questa sicurezza va garantita.
Però. specie al calare del sole, con le luci del palco accese, tutto svanisce. Resta la bellezza della condivisione unita alla voglia di saltare e di ballare dietro quei pezzi che, in modo o nell’altro, sono legati alla nostra personale memoria. Brani che assumono un significato tutto personale nel momento in cui quelle parole escono dalle nostre stesse labbra. Il caldo, la fame, la sete, il dolore ai piedi e la stanchezza. Tutto in secondo piano nel nome della musica. Una dose di libertà che diventa impagabile.
Le oltre dodici ore, in questo modo, scorrono addosso come una corrente: 12.898.000 spettatori in TV, con un picco di 2.577.000 nella fascia serale, e una piazza gremita di vita. I social hanno fatto il resto: #1M2025 in tendenza per tutta la giornata, oltre 1,5 milioni di interazioni. Il cuore del Paese che batte all’unisono.
La line up e le turbolenti emozioni
Sul palco, più di 50 artisti. Leo Gassmann ha aperto con “Bella Ciao”, Gabry Ponte ha chiuso con un DJ set da brividi che ci ha riportati all’adolescenza. In mezzo, momenti di pura bellezza e consapevolezza: Giorgia, Arisa, Elodie, Ghali, Gazzelle, The Kolors, Fulminacci, e tanti altri. Ma anche i tecnici, saliti sul palco per raccontare il loro lavoro invisibile. Francesco De Gregori riscoperto attraverso “Pablo”. L’omaggio commosso a Paolo Benvegnù, con i suoi musicisti storici.
E poi i giovani. Le nuove voci, quelle che hanno parlato anche per chi non può farlo. Giulia Mei, Anna Carol, Anna Castiglia, Cyrus, Andrea Cerrato, Cosmonauti Borghesi, Giglio. e molti altri Tutti rappresentanti di una generazione che dice “No” ad alta voce. Lo urla, lo grida, e inneggia al consenso rinunciando ai compromessi tanto sponsorizzati dai nostri genitori. Chi della musica ha voluto farne un mestiere, chi ha scritto sulla carta di identità che è un musicista. Chi non si è fermato davanti ad eventuali dissensi e commenti. Noi che, con loro, non ci siamo tirati indietro, né davanti né dietro le quinte. Noi, che abbiamo portato sul palco le nostre paure, i nostri sogni, la voglia disperata di esserci. Di lavorare, di costruire, di contare. Noi, i giovani che dai trent’anni a scendere, vogliamo lottare per i nostri sogni e per il nostro futuro. Tra individui e individualismi, nel tentativo di costruire una società ben più consapevole degli effettivi limiti rispetto a quella passata.
Grazie, Roma. Grazie, Primo Maggio. Perché stavolta, sul serio, abbiamo parlato noi!
Il Primo Maggio 2025 è stato nostro. Fatto di prime volte, di occhi lucidi, di piedi stanchi e cuori gonfi. Perché quando le luci si sono accese e Piazza San Giovanni abbiamo cominciato a urlare, e per solo un attimo abbiamo scordato la quotidianità. Un modo per poter ricordare la ragione per cui mi alzo ogni mattina. Cinema e musica che si legano in maniera insolubile nella mia mente e rendono la mia vita un musical. Grazie Roma, grazie romani, per avermi accolta in “terra straniera” e averla resa ancora una volta casa mia.