Tienimi su

È uscita oggi, 23 aprile, la nuova canzone di Ivane: “Tienimi su”. Un brano potente che si fa spazio tra sonorità energiche e parole cariche di significato. Una dedica a tutte le donne il cui grido di indipendenza emotiva è diventato un muro altissimo da abbattere. Perché lasciarsi sorreggere non è un sinonimo di fragilità, ma un atto di consapevolezza.

Nel suo sound, l’artista siciliana, riesce a coniugare le diverse sfumature della sua personalità. Giochi di parole, termini dialettali, e immagini ben precise. La ricetta per il giusto mix espressivo in grado di comunicare messaggi ben precisi di profondi all’ascoltatore.

In questa intervista, Ivane ci racconta le sfumature del suo progetto, il significato nascosto dietro le sue canzoni e il percorso personale che l’ha portata a mettere in musica le sue verità più profonde.

Tienimi su

Come descriveresti te stessa e la tua musica a chi l’ascolta per la prima volta?

«Allora, sicuramente è una musica molto energica e piena di ritmo, con sonorità frizzanti e vivaci. All’apparenza può sembrare solo musica da ballare, ma in realtà nasconde sempre un messaggio chiaro. L’obiettivo è proprio questo: unire l’energia del suono a contenuti. Un messaggio che, per chi vuole andare oltre la superficie, racconta qualcosa di più profondo.

Chi è Ivane? Ivane rappresenta la libertà di essere molte cose insieme. Il nome nasce da un’antica forma latina al plurale, a sottolineare proprio questa idea: non servono etichette. Con la mia musica voglio esprimere ogni sfaccettatura di me, passando da brani più ballabili a ballad intime e introspettive. Ogni canzone racconta un lato diverso, senza limiti di stile o definizione».

Parlando delle tematiche che affronti nelle tue canzoni, citando: Safe Place”; “Altamarea”; “60, 90,60”; “NicaeBallo da sola. Potrebbe definire la tua musica “femminile” e anche “femminista”. Sono testi molto powerfull, c’è un’immagine ben precisa quando scrivi i tuoi testi?

«Sì, la volontà è proprio quella di restituire l’immagine di una donna forte, tutta d’un pezzo, ma che vive anche delle fragilità. Credo che la debolezza non stia nell’avere difficoltà, ma in come si affrontano.
Ad esempio, “90 60 90” è un brano a cui tengo perché è stato complesso metterlo al mondo. Parla di DCA: un tema molto delicato, affrontato spesso con superficialità. Forse perché non tutti hanno la sensibilità per comprenderlo a fondo. Al suo interno, l’idea è che anche una figura che all’apparenza è molto sicura di sé può nascondere delle insicurezze profonde. Un modo per dire: “Guarda che anche chi meno ti aspetti può vivere quello che stai vivendo tu, non sei sola”. Questo è uno degli aspetti più forti di quello che faccio ed è qualcosa che mi piacerebbe davvero riuscire a trasmettere».

Quindi diciamo che tra apparire e essere, c’è una differenza tra Ivana e Ivane? Una differenza tra la te nella vita privata e sul palco?

«Assolutamente, anche se metto tanto di me stessa in quello che faccio. Il palco e la musica mi regalano una sensazione di potere unica: è come se lì sparisse ogni forma di timidezza. Sono una persona che ha imparato col tempo a parlare anche coi muri, ma di base sono sempre stata un po’ timida. Facendo questo nella vita: o impari o impari, non hai molta scelta! Questo è uno degli aspetti che più mi piace: salire sul palco e tirare fuori una parte di me che esiste, che è autentica, ma che magari nella quotidianità rimane più nascosta. Credo che tutti, in fondo, indossiamo diverse maschere. Mostriamo sfumature diverse di noi in base al momento. In Ivane c’è tanto di Ivana, e in Ivana c’è tantissimo di Ivane. Su questo non ho dubbi».

Le tue radici influenzano, in qualche modo, la tua musica?

«Per anni però ho pensato che fosse quasi impossibile trovare un punto d’incontro tra, ad esempio, una Rosa Balistreri — artista importantissima per la mia terra — e il pop mainstream che ascolto oggi. Poi un giorno mi sono detta: “Questa frase detta in dialetto non riuscirei mai a tradurla in italiano”. Un esempio è la parola nica. Sì, vuol dire “piccola”, ma mi ricorda me da bambina. Mi dà una sensazione di protezione. Sentirmi chiamare così oggi mi riporta a quei momenti in cui non dovevi pensare a niente, solo a vivere la vita, senza tutte le complicazioni che poi arrivano.

Quando ho capito che quel tipo di contaminazione era possibile, ho deciso di provarci. Alla fine è stata una figata pazzesca. Negli ultimi brani magari non ho più scritto in dialetto, ma per scelta. Non volevo costringermi a farlo per forza, perché quando senti di “dover” inserire qualcosa, rischi che la scrittura si blocchi. Le mie radici restano comunque sempre presenti nella mia musica. Anche solo nei suoni, nei colori, nei richiami ritmici».

Una cosa che col napoletano viene già fatta, no?

«Il napoletano, in realtà, è molto simile all’inglese. Un dialetto con suoni tronchi che lo rendono estremamente musicale. Ormai il napoletano è sdoganato e non è più legato solo alla canzone neomelodica. È diventato un linguaggio musicale contemporaneo a tutti gli effetti. Con altri dialetti è un po’ più complicato, sia perché siamo meno abituati ad ascoltarli in certi contesti musicali, sia perché hanno caratteristiche linguistiche diverse. Il siciliano in particolare è molto chiuso, poco “aperto” nel suono. Non è naturalmente musicale, a meno che tu non lo lavori nella costruzione della frase. Non è impossibile, però non è così istintivo come accade con il napoletano. Ora sta nascendo quasi un nuovo linguaggio musicale da questa cosa, ed è interessante».

Ci sono degli artisti da cui trai ispirazione?

«Allora, a livello di scrittura io sono cresciuta con il cantautorato. Sono figlia di artisti come Dalla, Pino Daniele, De André… è la musica che ho sempre ascoltato. Questo ovviamente influisce molto su quello che faccio, anche quando lavoro su sonorità più pop: cerco sempre un compromesso tra la narrazione e la musicalità. Mi piace costruire immagini che racchiudano in poche parole quello che magari direi in quattro frasi, riuscendo comunque a trasmettere la stessa intensità. Dal punto di vista artistico, invece, amo Rosalía e tutto quel mondo lì. C’è anche un’artista che ho scoperto negli ultimi anni e che mi ha colpito molto, si chiama Cazzu. Anche lei si muove tra la trap e sonorità più latine. Quindi, in pratica, la mia musica è un mix tra il cantautorato che mi ha formato e l’influenza fortissima della musica spagnola e latina in generale».

Per quanto riguarda il tuo nuovo pezzo “Tienimi su”, ci sono molte immagini cinematografiche. Quando scrivi, hai ben in mente le immagini da dare all’ascoltatore, o sono un divenire?

«Allora, mi piace creare immagini ben definite nei miei testi, ma allo stesso tempo trovo importante lasciare spazio all’interpretazione personale. Credo che ognuno debba poter ritrovare qualcosa di proprio in una canzone, in base al vissuto di chi ascolta. Quando scrivo, ovviamente, ho un’idea precisa di dove voglio arrivare, del messaggio che voglio trasmettere. A volte ci sono immagini a cui tengo particolarmente e che voglio siano comprese esattamente per quello che significano per me. Altre volte, mi piace lasciare quell’ambiguità. Ci sono frasi che, a seconda di come le interpreti, possono raccontare cose diverse. Mi piace condividere la mia visione, certo, ma anche permettere a chi mi ascolta di leggerci dentro qualcosa di suo».

Puoi dirci qualcosa di più su questo brano?

«È il terzo di quattro per quello che sarà poi un EP. È nato da una sensazione molto visiva: quando ho sentito il beat, mi ha subito evocato l’immagine di una giungla, con queste liane che ti tengono sospesa… e da lì ho iniziato a costruirci intorno. Il pezzo parla della possibilità di lasciarsi andare, di concedersi la libertà di essere sorretti. Io sono sempre stata una donna tutta d’un pezzo, con l’idea di dovercela fare da sola, di non aver bisogno di nessuno. Col tempo ho capito che lasciarsi aiutare non è una forma di debolezza. Certo, posso farcela da sola, ma se c’è qualcuno disposto a tenderti una mano, perché non accettarla?

Il brano racconta proprio quell’incredulità nel rendersi conto che sì, forse puoi davvero lasciarti andare con qualcuno. Infatti c’è una frase che dice: “Io non so stare nel game, ma per te imparerei”. Significa che non è una cosa che mi viene naturale ma, se tu mi insegni come, potrei anche provarci. Ecco, il messaggio è questo: lasciarsi sorreggere non significa essere deboli. A volte è solo un atto di fiducia».

La domanda che sovviene pensando al tuo testo è: pensi che l’amore possa essere anche una roulette russa?

«Oddio… nel senso, sì, ma anche no… non lo so, perché in realtà è sempre un azzardo avere a che fare con le persone, no? Che si tratti di una relazione affettiva, un’amicizia o qualsiasi altro tipo di legame, è sempre un po’ come giocare alla roulette russa: rischi, non sai mai cosa può succedere.

In questo caso, la roulette russa è anche una metafora dell’ambivalenza. Può andarti bene, come può andarti male. La domanda è: sei disposto a rischiare oppure preferisci andare sul sicuro? Credo che nella vita, a volte, i rischi vadano presi, anche solo per vedere cosa succede. Però penso anche che non valga la pena rischiare per chiunque. Ci sono situazioni in cui dici “Ok, questo rischio lo prendo perché forse ne vale davvero la pena”, e altre in cui ti chiedi “Ma chi me lo fa fare?”. Alla fine fa tutto parte del gioco… ed è anche questo il bello, forse».

E invece per quanto riguarda il “Princess Treatment” funziona per conquistare il cuore di Ivana?

«Non lo so… è difficile concedersi, soprattutto per una come me che ha sempre fatto tutto da sola, che si è sempre detta: “Io non ho bisogno di niente e di nessuno”. Concedersi al Princess Treatment non è una cosa così immediata. C’è qualcosa che mi affascina, ma è una linea sottile. Oggi si parla tanto di Princess Treatment, di quella dinamica in cui l’altro si prende cura di te, come se tu dovessi solo lasciarti coccolare. Ma io non la vedo così, o almeno non del tutto.

Per me il Princess Treatment è più il permettere all’altra persona di fare quelle piccole cose che potrei benissimo fare da sola, ma che – per una volta – lascio fare. È quel gesto di fiducia, quel “ok, mi affido”, anche se è strano, perché non sono abituata. Infatti, dico che è un gusto audace, gourmet… qualcosa che ancora devo imparare a conoscere davvero. È come se da un lato volessi assaporarlo, dall’altro ci vedo sempre un secondo fine, qualcosa che mi mette un po’ in allerta. C’è quell’ambiguità che mi spaventa, perché è nuova, però allo stesso tempo mi incuriosisce. E allora mi dico: “Va bene, proviamo a vedere di che si tratta”».

Questa uscita preannuncia il resto del tuo progetto, vuoi darci qualche altra anticipazione?

«Questa è l’uscita di aprile, a giugno ci sarà l’uscita che chiuderà l’EP. Un progetto che mi permette di poter presentare le sfumature di Ivane. Poi speriamo tutta una serie di live per portare in giro il brani, precedute da un release party.

Non ho mai smesso di andare in studio, di lavorare e di scrivere; magari a settembre uscirà un qualcosa che potrebbe essere un’altra sfumatura ancora di quella che sono. Anche perché continuano a entrare persone nella mia vita che che stimolano in maniera diversa il mio lavoro. Quindi mi dico: “chiudiamo brani che ho, perchè non vedo l’ora di farli ascoltare”. Ma resta la volontà di tirar fuori altro da farvi ascoltare».

Se potessi scegliere un film, una serie tv o un videogioco per cui scrivere la colonna sonora, quale sarebbe?

«Oddio, questa è difficilissima! Così, a caldo, mi viene in mente una di quelle serie TV girl power, tipo Élite. Non tanto per la trama in sé, ma per la loro estetica. Quelle serie che a primo impatto sembrano leggere, magari tutte feste e cose superficiali… e invece sotto sotto nascondono una bella dose di sostanza. A me piacciono proprio perchè che sembrano patinate, ma poi ti sorprendono e ti dicono qualcosa di vero.

Ti dirò anche una cosa che anticipa un po’ l’ultimo brano che uscirà: credo molto nel fatto che la leggerezza, nella musica, non debba per forza essere sinonimo di superficialità. Anche una canzone che ti fa ballare, che sembra “semplice”, può veicolare temi profondi e importanti. Quindi, sì, se dovessi immaginarmi come una serie, sarebbe una di quelle: all’apparenza pop, brillante, ma con un messaggio sotto che ti arriva piano piano».

Se non ti abbiamo ancora convinto a recuperare la discografia di Ivane, con Tienimi su dovresti avere la prova definitiva. Non solo una canzone, ma un manifesto emotivo. Un invito a rivedere il significato della parola “forza”, a permettersi di cedere senza perdere sé stessi, a capire che sorreggersi a vicenda può essere un atto di coraggio e non di debolezza.

In attesa del prossimo capitolo del suo EP, Ivane continua a costruire con sincerità e potenza un progetto che parla alle donne, ma anche a chiunque abbia voglia di ascoltare con attenzione, lasciandosi trasportare da testi che accarezzano e scuotono allo stesso tempo.

di Lapizia

Guardo troppi film e parlo troppo velocemente, ma ho anche dei difetti!

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