“OMEN – L’ORIGINE DEL PRESAGIO”, la recensione del prequel di un cult

Omen

Quale periodo migliore, se non dopo Pasqua, esiste per poter guardare un film horror che tratta le origini e la nascita dell’Anticristo?

In totale atmosfera di blasfemia, il 4 aprile arriva in sala “Omen – L’origine del presagio”, il prequel della saga nata nel 1976 sotto la regia di Richard Donner. Il cinema dei nostri giorni sta vivendo della linfa delle vecchie saghe di successo proponendo storie aggiuntive o rilanci delle stesse. Dimentichiamo per un momento il tentativo del 2006 di riavviare questa saga e concentriamoci su una storia che ci porta direttamente nel 1971, sei anni prima degli eventi che hanno reso famoso Damien al pubblico mondiale.

Omen

Che piaccia o meno, “Omen – il presagio” è uno dei film cult per il cinema di genere. L’orrore sottile, il terrore religioso e le scene gore lo hanno reso praticamente immortale e ancora oggi maledettamente godibile. Gregory Peck, protagonista indiscusso di quella pellicola, ha lasciato un’interessantissima eredita che è stata consumata dai sequel sfornati successivamente allo sguardo verso il pubblico di un Damien ancora bambino. Ripreso in diverse salse, citato e sfruttato, l’Anticristo è una delle figure più interessanti all’interno delle narrazioni e da modo di poter sfogare differenti argomenti tirandolo semplicemente in ballo.

Arkasha Stevenson, attraverso la sua regia, è ben consapevole del peso di lavorare su una storia che trae origine da quel film. Il suo omaggio alla storia “originale” rende questa versione intrigante e stuzzicante, un’ottima aggiunta per chi conosce la saga o per chi vuole iniziare a conoscerla.

Siamo nella Roma degli anni ’70, teatro delle rivolte studentesche e dell’abbandono progressivo di usi e costumi tradizionali. La religione e la moralità hanno sempre meno presa sui giovani, un tradimento che alcuni membri ecclesiastici ritengono inaccettabile. Di conseguenza, è considerato necessario trovare il modo per poter incutere timore nei fedeli, così da poter restaurare il potere della Chiesa.

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La Città Eterna fa da perfetto sfondo per poter parlare di: fede, corpo femminile e di maternità. Il tutto viene unito dalla credibilità che molto spesso viene – ancora oggi – data a una donna, alle sue visioni o alla sua interiorità. L’arrivo di suor Margaret (Nell Tiger Free) in convento è un’ondata di novità che porta con sé delle conseguenze negative. La donna che, non ha conosciuto altro se non il convento in vita sua, metterà in dubbio il suo percorso.

Non è stata, quindi, una sciacalla a dar vita a Damien e ciò permette di poter affrontare il concetto di maternità. Un’idea molto cara all’horror degli anni ’70 che iniziava a inquadrare la prole come qualcosa di demoniaco e di indesiderato. Del resto, proprio in quegli anni si lottava per il riconoscimento al diritto per l’aborto. Una legge che continua ad esser messa in dubbio persino ai giorni nostri. Una donna costretta a convivere col suo destino, anche se non lo ha scelto lei, perché porta su di sé il marchio della bestia.

In ogni caso, sottolineiamo il dubbio perpetrato in tutta la pellicola: chi avrà il compito di partorire l’Anticristo?

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I riferimenti ai principali capitoli di questa saga sono stati saggiamente posti nel corso della narrazione. Dialoghi, immagini, ed episodi (che non sveliamo) sono chiari simboli del mantenimento di un certo fil rouge. Un’opera che, quindi, come abbiamo sottolineato in partenza tiene ben presente quella che è l’eredità che doveva esser colta. Un omaggio arricchito dalla storia del cinema di quel tempo in grado di rievocare, ma anche di approfondire.

Quello che Arkasha Stevenson porta in scena è una pellicola che si ancora ai tempi che vuol rappresentare tenendosi ben lontana dai jump scare tipici degli horror dei nostri giorni. Ci si concentra, in questo modo, su un terrore molto più sottile e crudo e a tratti più gore. Si riprende l’ambientazione thriller tipica del nostro cinema e si lascia spazio a tutto quel potenziale in grado di rilanciare questa saga.

La Stevenson è da tenere d’occhio perché ha tutte le carte in regola per costruire delle interessantissime narrazioni coniugate a giusti movimenti di camera e a dettagli particolarmente gradevoli alla vista. Tra ragni e inquadrature mirate ad attenzionare ogni più piccolo particolare, la scena diviene un vero e proprio quadro. Questo preludio al presagio ha bisogno della visione in sala.

di Lapizia

Guardo troppi film e parlo troppo velocemente, ma ho anche dei difetti!

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