Presentato nella sezione Grand Public alla diciannovesima Festa del Cinema di Roma, Rental Family – Nelle vite degli altri segna il ritorno dietro la macchina da presa della regista giapponese HIKARI, già autrice di 37 Seconds e di alcuni episodi di Tokyo Vice. Il film vede protagonista il premio Oscar Brendan Fraser nel ruolo di Philip, un attore americano in crisi che vive a Tokyo e trova un lavoro inatteso presso un’agenzia di “famiglie a noleggio”, dove interpreta figure di padri, amici o conoscenti per clienti che cercano momentaneamente conforto o presenza umana. Nel cast anche Takehiro Hira, Mari Yamamoto, Akira Emoto e l’esordiente Shannon Mahina Gorman.
La solitudine come mestiere
HIKARI costruisce il film attorno a un tema ricorrente del cinema giapponese contemporaneo: la solitudine urbana e la difficoltà di appartenere. Tuttavia, sceglie un punto di vista insolito: quello di uno straniero che entra in una cultura che non gli appartiene ma nella quale trova un riflesso della propria alienazione. Rental Family si muove su un equilibrio fragile tra dramma esistenziale e commedia umana, esplorando il bisogno di connessione in una società in cui anche i sentimenti si possono acquistare. L’idea è affascinante e ricca di potenziale, ma il film tende spesso a sfiorare i temi più che approfondirli, preferendo la leggerezza di un tono “feel-good” a una reale indagine psicologica.
Brendan Fraser, volto dell’empatia
Dopo The Whale, Fraser torna a interpretare un personaggio in cerca di redenzione, ma questa volta con toni dolci e ironici. Il suo Philip è un uomo spaesato, dolcemente malinconico, che attraversa Tokyo come un fantasma gentile. L’attore trova nel personaggio una misura perfetta per la sua naturale empatia: basta uno sguardo per far emergere la tenerezza e il disagio di chi vive ai margini del mondo. Accanto a lui, Takehiro Hira offre una prova intensa nei panni di Shinji, il direttore dell’agenzia, mentre Mari Yamamoto, pur relegata a un ruolo secondario, lascia il segno come Aiko, collega esperta costretta a recitare la parte della “donna sbagliata” per lavoro.
Tokyo come teatro dell’illusione
La fotografia di Takurô Ishizaka trasforma la città in un mosaico di luci e riflessi, dove realtà e finzione si confondono. HIKARI filma gli spazi pubblici con una distanza quasi documentaria, ma sceglie per gli interni un tono più intimo e sospeso. Tuttavia, il ritmo del film – complice il montaggio di Alan Baumgarten e Thomas A. Kruger – risulta spesso frammentato, alternando sequenze emozionali a passaggi più convenzionali, quasi pubblicitari. La regista sembra affascinata dalla superficie della città e dalle sue contraddizioni, ma raramente osa spingersi oltre la rappresentazione estetica per interrogare davvero l’illusione che racconta.
Emozioni a noleggio
Rental Family gioca costantemente sul confine tra verità e performance, ma finisce col diventare prigioniero della sua stessa dolcezza. HIKARI costruisce situazioni toccanti – il regista anziano con la memoria che svanisce, la madre che ingaggia un padre finto per la figlia – ma evita di affrontare le ambiguità morali del suo racconto. La commozione è cercata con insistenza, e il risultato è un film grazioso, ma troppo levigato. La regista preferisce rassicurare invece che disturbare, confezionando un’esperienza “buona” e sentimentale che rischia di confondere il calore umano con la superficialità emotiva.
Un film gentile ma senza profondità
Nonostante le ottime interpretazioni e la sensibilità visiva di HIKARI, Rental Family resta un film che fa riflettere sul bisogno di appartenenza, ma senza scavare davvero nelle sue ferite. Si guarda con piacere, si sorride, ci si commuove a tratti, ma resta la sensazione che tutto sia stato attentamente controllato, come se anche le emozioni fossero parte di un copione. Una parabola sulla solitudine che accarezza, ma non graffia.
Rental Family – Nelle vite degli altri arriverà nelle sale italiane a gennaio 2026 con Searchlight Pictures.

