Cinquant’anni dopo il debutto sul grande schermo di “The Rocky Horror Picture Show“, Linus O’Brien celebra il fenomeno con “Strange Journey: The Story of Rocky Horror“, un documentario affettuoso e personale che racconta la genesi, il flop iniziale e la successiva rinascita di un cult immortale. Diretto dal figlio del creatore Richard O’Brien, il film mescola ricordi d’infanzia, aneddoti dietro le quinte e testimonianze dei protagonisti, da Tim Curry a Susan Sarandon, mostrando come un musical punk-rock nato nei teatri di Londra sia diventato un’icona globale di queer joy, ribellione e identità libera.
La storia e il culto
Strange Journey ripercorre le origini di Rocky Horror, dalle radici teatrali londinesi del 1973 al trasferimento a Los Angeles, fino al flop cinematografico e al successivo culto dei fan che lo ha reso il più longevo film in programmazione continua della storia del cinema. Linus O’Brien intreccia in modo organico la storia della creazione con l’evoluzione culturale del fenomeno, mostrando come la pellicola sia diventata un luogo di liberazione e identità per intere generazioni di spettatori queer e outsider. Il documentario celebra il legame tra creatori e pubblico, dimostrando che Rocky Horror non appartiene più ai suoi autori, ma ai fan che l’hanno trasformato in rituale collettivo.
Un’eredità fatta di glitter e ribellione
Il punto di forza del documentario risiede nell’accesso senza filtri ai protagonisti: Richard O’Brien, Tim Curry, Susan Sarandon, Barry Bostwick, Patricia Quinn e Lou Adler raccontano con entusiasmo e ironia il dietro le quinte di un progetto che ha sfidato ogni convenzione. I fan stessi, presenti con testimonianze commoventi e vivide, rivelano come il film abbia rappresentato un rifugio e una famiglia scelta per chi si sentiva escluso. La memoria collettiva diventa così parte integrante della narrazione, tra aneddoti sulla prima proiezione del Waverly e racconti toccanti come quello di Sal Piro, superstite dell’AIDS che attribuiva la propria sopravvivenza a quei venerdì notte passati al cinema.
Il tono e la forma
Il documentario alterna archivi storici, immagini attuali e momenti musicali, riuscendo a catturare l’energia irriverente e il gusto per il caos che hanno reso il film originale un culto. La regia di Linus O’Brien è rispettosa e mai invadente, ma proprio per questo a tratti troppo prudente: la narrazione si limita a celebrare senza mai approfondire davvero le contraddizioni, le tensioni creative o le sfide politiche che hanno reso Rocky Horror un’opera così radicale. Mancano riflessioni più audaci sulla cultura queer contemporanea o un’analisi più coraggiosa del legame tra ribellione e arte, rendendo il documentario elegante ma parzialmente convenzionale.
Un documento affettuoso ma incompleto
Pur nella sua ricchezza di dettagli e aneddoti, Strange Journey soffre per alcune assenze, sia tra i membri del cast originale – come Meat Loaf, Jonathan Adams e Charles Gray – sia nell’esplorazione più profonda del fenomeno fan che continua a vivere nei teatri e nelle sale di tutto il mondo. Le sequenze più intime tra Linus e Richard O’Brien funzionano meglio di quelle più istituzionali, ricordando che la vera forza del documentario risiede nella dimensione familiare e personale, più che nel racconto storico-completo.
Il tempo del “Don’t dream it, be it”
Strange Journey: The Story of Rocky Horror è un tributo caloroso e sincero a un’icona del cinema e a chi l’ha resa immortale. Il documentario diverte, emoziona e fa riflettere sul potere del cinema come luogo di libertà e comunità, pur senza riuscire a raggiungere la stessa audacia del film originale. È un’opera che i fan adoreranno e che può incuriosire i neofiti, ma che resta inevitabilmente limitata dalla prudenza. Alla fine, come Rocky Horror, è un’esperienza da vivere più con il cuore che con la testa, un invito a dire “yes” alla vita e a non smettere di abbracciare il proprio lato più stravagante e ribelle.

