Dentro un “Attimo Eterno”: le parole di LDA – Intervista

LDA

LDA non si è limitato a rinnovare il proprio sound, con i nuovi singoli “SHALLA” e “Attimo Eterno“: lo ha ribaltato e lo ha ridefinito. È il suo ingresso, deciso e consapevole, nel mondo dell’R&B — un genere che in Italia resta ancora territorio inesplorato, ma che per LDA diventa casa, linguaggio, identità.

Questa intervista è, non solo il racconto di una svolta musicale ma, il ritratto autentico di un ragazzo che non ha paura di mostrarsi fragile, di difendere il valore dell’amore, della normalità, delle radici.

Perché, come ci ha detto con sincerità disarmante: “Se perdi quel gioco, quel sentirti bambino davanti a qualcosa di così grande e bello come la musica… finisce tutto il senso”.

Con “SHALLA” e “Attimo Eterno” stai vivendo una nuova fase, più libera e intima. Come ti senti in questo momento della tua vita e quanto questo si riflette nella tua musica?

Mi sento davvero felice, spensierato. Finalmente faccio quello che mi piace, quello che amo. In realtà l’ho sempre fatto, ma adesso lo vivo con una sicurezza diversa, con una leggerezza nuova… e mi sto proprio divertendo. Tanto.

In “Attimo Eterno” racconti un amore fragile e sospeso, mentre in “SHALLA” parli di lasciarsi andare. Quanto c’è di te in queste canzoni e quanto ti senti vulnerabile nel raccontare queste emozioni?

Quanto c’è di me? Penso il 100%. Io sono sia il giorno che la notte, quindi sì, c’è davvero tanto di me. Nel progetto direi il 99,9%, perché quel piccolo pezzetto lo tengo sempre un po’ nascosto.

Portare l’R&B in Italia è una sfida: nei tuoi freestyle parli di una “pena” per questo tanto che ti mostri ingabbiato da un genere. Che cosa hai dovuto affrontare a livello personale per seguire questa strada?

Più che altro, sono andato contro tutto e tutti. Tutti mi dicevano: “No, Luca, continua per la tua strada, ma perché vuoi fare una cosa che in Italia non funziona?”. E io ho risposto: “Non mi interessa. Faccio quello che mi piace, quello che mi diverte. Devo essere vero. Chi compra un mio disco o un biglietto per vedermi non merita una maschera. Non l’ho mai indossata in vita mia, figuriamoci se lo faccio con la musica”.

In tal senso, il responso da parte dei tuoi ascoltatori, come lo vedi? Stanno accettando bene questo cambio di rotta?

Sì, l’hanno accettato e sono davvero contenti. Mi stanno facendo un sacco di complimenti, ma anche tante critiche costruttive — che poi sono quelle che preferisco, perché mi aiutano davvero a crescere. Sono felicissimo anche per i riscontri dagli addetti ai lavori, dai colleghi… ho ricevuto tantissimi messaggi da parte di altri artisti, pieni di stima. Quindi sì, sono davvero, davvero contento.

Invece c’è stato qualcosa in particolare che, durante la scrittura di queste canzoni, ti ha permesso di scoprire qualcosa di te in più che precedentemente magari non c’era?

In realtà ho riscoperto tantissime cose di me.
Innanzitutto, il divertimento nel fare questo mestiere, che stavo un po’ perdendo — non perché non lo amassi, ma perché stavo rincorrendo altro, e non è giusto. La musica va rispettata, va amata, come ho sempre fatto del resto.
Ho anche iniziato a studiare seriamente: mi sono iscritto al conservatorio perché voglio dare sempre di più, voglio crescere, e voglio farlo tanto, in tutti gli aspetti. Ho l’età dalla mia — 22 anni — quindi ho tutta una vita davanti per sperimentare, per fare tutto e per giocare con la musica, perché per me la musica è un gioco.
Se perdi quel gioco, quel sentirti bambino davanti a qualcosa di così grande e bello come la musica, penso che finisca proprio il senso di tutto. Questo è quello che penso io.

Quanto pensi che sia importante sperimentare con i generi per poter trovare la propria espressione e identità artistica?

Sì, l’ho appena detto: è fondamentale, perché ti fa scoprire tante parti di te.
La musica è il miglior psicologo che ci sia.

Sei nel mondo della musica da tanti anni, nonostante la tua giovane età. Quali sono oggi le tue paure e le tue insicurezze?

La mia più grande paura è quella di perdere il Luca ragazzo. Sai, io sono un po’ “vecchia scuola”: se nasci quadrato, difficilmente muori tondo. Quindi penso che non cambierò mai. Credo che quel Luca ragazzo ci sarà sempre: andare al bar, andare in spiaggia libera a farmi il bagno, fare la spesa banalmente… tutte queste cose mi fanno sentire vivo, mi fanno sentire una persona normale. Ho bisogno del contatto con la gente, di stare in mezzo agli altri, di divertirmi, di farmi due risate. Ho proprio bisogno di fare il ragazzo normale. Questa è l’unica cosa che desidero. Poi, magari, i dischi d’oro, i dischi di platino e tutte queste cose sono secondarie. Io voglio divertirmi e voglio essere sereno nella mia vita. Il resto viene dopo.

“SHALLA” è un inno alla rinascita: puoi raccontarci un momento preciso in cui hai sentito di dover rinascere e come ci sei riuscito? O c’è qualche aneddoto che puoi raccontarci?

Allora, innanzitutto un aneddoto interessante: prima di farla uscire, abbiamo fatto 14 versioni. Mamma mia, 14! Sono davvero tante. Siamo usciti un po’ pazzi dietro “Shalla”. Pensa che l’abbiamo iniziata a Napoli, poi continuata a Roma, e infine chiusa a Malta. Una follia vera. Questo è già, secondo me, un dettaglio abbastanza curioso.
Ho capito che dovevo farla uscire quando mi logorava il cervello — mi svegliavo la mattina e la cantavo. All’inizio c’era solo la linea melodica, dovevo ancora scriverci il testo, ma sentivo che aveva già un significato forte. Anche se “Shalla” non è un termine napoletano, è una parola che capiscono tutti in Italia. E quindi alla fine ho detto: basta, vai, facciamola uscire!

Hai firmato la sigla della seconda stagione di “DI4RI” su Netflix con “Castello di sabbia” e negli ultimi anni hai pubblicato singoli come “Promesse” e “Rosso Lampone”. Ti sei mai immaginato che la tua musica potesse diventare la colonna sonora di un prodotto televisivo o cinematografico? Avevi un sogno particolare legato a questo tipo di traguardo?

Assolutamente sì, alla seconda domanda: ho sempre sognato che un mio pezzo potesse finire nella colonna sonora di un film.
Alla prima, invece, ti dico “no”, non me lo sarei mai aspettato. Quando mi è arrivata la chiamata ho pensato: “Oh mio Dio… qui non si può sbagliare”. Mi sono visto tutta la serie e penso di aver collegato bene il brano Castello di sabbia al contesto.
Poi è arrivata anche “Promesse”, che in realtà è un pezzo che ho dedicato a tutti quei ragazzi che non hanno la possibilità di sognare. Devi sapere che io vivo a Posillipo, a Napoli, ma ci scendo pochissimo. Cerco di stare sempre in mezzo alla gente, nei posti che mi arricchiscono umanamente.

Per carità, tutta Napoli ti arricchisce, perché ti insegna a stare sia con chi sta meglio di te, sia con chi sta peggio. Io so stare in mezzo a tutti, senza fare differenze, portando rispetto a chiunque. E questa, secondo me, è la mia più grande fortuna. “Promesse” è dedicata proprio a chi non ha la possibilità di fare niente, a chi non viene data nemmeno l’occasione di sognare, di studiare, di realizzare i propri sogni. E poi, alla fine, è finita in DI4RI, una serie che parla proprio di ragazzi. E questa cosa, per me, ha chiuso perfettamente il cerchio.

È cambiato qualcosa nel rapporto con le persone, ora che hai raggiunto un certo livello di fama?
Sei sicuramente più riconoscibile, anche se sei anche un figlio d’arte, quindi in un certo senso lo sei sempre stato. Ma è cambiato davvero il calore delle persone nei tuoi confronti, oppure è rimasto sempre lo stesso?

Mah, sicuramente c’è magari qualche persona che prima non mi considerava e oggi si spaccia per mio amico. Però, alla fine, non è cambiato nulla: io sono rimasto sempre la stessa persona.

Guardando indietro c’è qualcosa che faresti in modo diverso nel tuo percorso?

Mah, cambierei tante cose… cambierei anche tante frasi delle mie canzoni.
Oggi che sono cresciuto, mi capita di riascoltare certe cose e pensare: “Mamma mia!”.
Cambierei anche alcune canzoni dei dischi passati. Però alla fine hanno fatto parte del mio percorso, mi hanno portato a essere quello che sono oggi, quindi va bene così.

E guardando avanti, c’è qualcosa che sogni o che ti immagini per il tuo futuro, sia come artista che come persona?

Mah… Cerco di non fare progetti perché se poi non li realizzo è un macello, quindi mi vivo tanto la giornata, però nel futuro vedo tanta musica.

In “Attimo Eterno” c’è l’idea di un tempo che sembra fermarsi, che fa pesare ogni attimo. Ti capita anche nella vita di tutti i giorni o è un concetto che releghi ai sentimenti più romantici?

L’amore rientra in tutto: l’amore che provi per un amico non è lo stesso di quello che puoi provare per un compagno o una compagna, o per un genitore, un fratello, una sorella. Nel caso di Attimo Eterno sentivo proprio il bisogno di scrivere determinate cose. Ho vent’anni, vivo d’amore, ok? Ne ho bisogno nella mia vita, e penso che tutti ne abbiamo bisogno.
Perché l’amore ti fa sentire vivo, ti fa sentire importante. Secondo me, è l’unica cosa che riesce davvero a farti sentire così.

https://youtu.be/zS9KSKvUM6w

di Aida Picone

Guardo troppi film e parlo troppo velocemente, ma ho anche dei difetti!

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