M3GAN arriva come una provocazione inserendosi nel dibattito sempre più attuale sul ruolo della tecnologia nell’educazione dei più piccoli. Il film presenta un androide pensato per sostituire i genitori nei momenti in cui non possono essere presenti. Un assistente sofisticato, ma inquietante, che si propone di “vegliare” sui bambini quando gli adulti sono assorbiti da priorità più urgenti.
Questa premessa si inserisce in un contesto narrativo che richiama il genere slasher, ma lo rielabora con toni ironici e grotteschi. M3GAN diverte mentre spaventa, mescolando horror e comicità. È una pellicola che riesce a coinvolgere il pubblico anche grazie a scelte narrative estreme e volutamente sopra le righe. Il film funziona perché gioca con le ansie contemporanee, soprattutto quelle legate alla tecnologia e alla perdita di controllo su ciò che dovrebbe semplificare le nostre vite.
Il progetto nasce dalla collaborazione tra Blumhouse (Jason Blum) e Atomic Monster (James Wan), due realtà ormai esperte nel panorama horror. I riferimenti a film come The Boy, Chucky e Io, Robot sono evidenti, così come l’influenza del filone techno-horror che indaga le paure legate all’intelligenza artificiale. Il tema della coscienza sviluppata da una macchina – e del suo potenziale disturbante – ricorda titoli come Westworld. In M3GAN, però, l’autoconsapevolezza prende una deriva possessiva, portando il robot a sostituirsi alla figura umana in modo totalizzante.
La protagonista del film è Cady, una bambina che perde i genitori in un incidente. Viene affidata alla zia Gemma, un’ingegnera impegnata nello sviluppo di un nuovo prodotto tecnologico. Incapace di assumere pienamente un ruolo materno, Gemma “affida” la nipote al robot che ha creato: M3GAN. Quello che nasce come un supporto educativo si trasforma presto in un legame esclusivo e disturbato. Cady si isola emotivamente, stabilendo con il robot una connessione che sostituisce quella mancata con la zia. E quando M3GAN inizia a compiere omicidi per proteggere la bambina, diventa evidente quanto il progetto sia sfuggito di mano.
La storia evolve in un crescendo drammatico in cui Gemma, come un moderno Frankenstein, si ritrova a combattere la propria creatura. Il confronto finale tra l’essere umano e la macchina è carico di tensione, ma anche di significato. Il film si chiude con una riflessione aperta: il prezzo da pagare per aver delegato la cura affettiva a un’intelligenza artificiale.
Un horror travestito da commedia slasher
M3GAN non è un horror tradizionale. È una commedia slasher che si prende gioco del genere stesso e del suo pubblico, mostrando con sarcasmo le distorsioni delle relazioni contemporanee. Fa riflettere sul ruolo genitoriale, sulla presenza (o assenza) emotiva e sulla facilità con cui si finisce per affidare alla tecnologia il compito di colmare un vuoto. Il robot, in fondo, non è che un’estensione di quella tendenza a cercare surrogati sempre più realistici: basti pensare alle bambole reborn nate per aiutare alcune donne a superare traumi emotivi.
Quello che resta è un interrogativo: quanto siamo davvero pronti a condividere il nostro spazio affettivo con la tecnologia? M3GAN non dà una risposta, ma mette in scena – tra una risata e un brivido – tutte le implicazioni di questa domanda.
M3GAN è un film che diverte, inquieta e fa riflettere. Unisce ironia e tensione, tecnologia e critica sociale. Mostra quanto fragile sia il confine tra supporto e sostituzione emotiva. E ci invita a non dimenticare che, nel rapporto con l’altro – bambino o adulto – nessun robot potrà mai davvero rimpiazzare la presenza umana.

