Presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma lo scorso 23 ottobre, Io sono Rosa Ricci ha fatto il suo debutto nella sezione Gran Public. Un chiaro segnale di come il film punti al pubblico che ha reso Mare Fuori un vero fenomeno pop. Il prequel cinematografico della serie arriverà nelle sale il 30 ottobre, distribuito da 01Distribution. L’obiettivo? Trasformare Rosa Ricci in un’eroina tragica, portando sul grande schermo il linguaggio della serialità italiana.
Una premessa è quasi dovuta. Chi scrive non ha mai seguito la serie con continuità: alcune puntate sporadiche e una conoscenza generale delle tematiche sono tutto ciò che possiamo considerare background. Nonostante questo, il film rimane comprensibile anche a chi non ha mai visto la serie. La mia curiosità verso la struttura narrativa di questo prequel nasce da una mera e profonda voglia di osservare come il personaggio venga declinato in versione cinematografica. Si percepisce un tentativo curioso di avvicinare il film all’atmosfera di Gomorra, senza però riuscire a riprodurne la tensione narrativa. Procediamo, però, con ordine.
Il film rimane fruibile anche a chi non conosce la serie, con un’estetica più cupa e curata: luci fredde, scenografie ampie e un ritmo che richiama il crime contemporaneo italiano. Tuttavia, sotto questo nuovo abito si percepisce ancora il cuore del teen drama: emozioni amplificate, ingenuità narrative e eccessi sentimentali. L’isola fa da scenario a sguardi intensi e a un ritmo che richiama i crime più noti del cinema italiano recente.
Prima del carcere: l’inizio della trasformazione di Rosa
Siamo davanti all’origine di Rosa Ricci, interpretata da Maria Esposito: una ragazza cresciuta sotto una campana di cristallo dorato, figlia di un boss trattata come una principessa. L’ingresso nel mondo della violenza avviene quasi per caso, quando un incontro d’affari del padre con un cartello della droga sfocia in un agguato. Rosa viene rapita, mentre il padre deve affrontare il riscatto; da quel momento inizia la sua trasformazione. La prigionia diventa occasione di crescita e scoperta, ma anche di amore proibito: il sentimento è sempre la miccia che accende la tragedia. È un racconto di educazione sentimentale e di consapevolezza, una ragazza che impara troppo presto cosa significa appartenere a un nome, a una famiglia, a un destino già scritto.
Il problema è che, pur essendo più giovane rispetto all’età della serie, per gran parte del film Rosa resta la principessa da proteggere. Una retorica assai stonata rispetto alle pieghe narrative che il film vorrebbe esplorare. Anche quando tenta qualche passo verso la libertà, il ruolo del “love interest” interviene. Il personaggio interpretato da Andrea Arcangeli diventa la quota romantica in questo finto crime.
La patina di Gomorra, l’anima di un fotoromanzo
L’operazione avrebbe potuto avere senso: dare spessore e respiro cinematografico a un personaggio amatissimo, mostrando l’altra faccia del mito. Ma Io sono Rosa Ricci resta sospeso tra due linguaggi, senza scegliere mai una direzione precisa. Il film sembra vestirsi con l’abito di un crime potente all’italiana, ma ne mantiene solo l’estetica: la brutalità viene raffreddata, le conseguenze raramente mostrate. L’eleganza e la perfezione visiva finiscono per trasformare la criminalità in semplice cornice scenica, più che in esperienza capace di raccontarne ferite e contraddizioni. Non c’è mai una reale condanna né una riflessione su cosa significhi crescere immersi nella logica del potere e del denaro: la camorra resta contesto, mai ferita.
I protagonisti oscillano tra lusso e rabbia, tra eleganza e spari, con la violenza che sembra un linguaggio interno alla loro quotidianità, più che una rottura drammatica. Sarà il fascino del platinato, l’italiano con accento spagnolo, o forse una spiccata sindrome di Stoccolma, ma tutto viene patinato di romance: il sentimento romantico diventa un vero e proprio codice narrativo, intrecciandosi con la duplice anima che muove la storia. Dopo un primo impulso verso un registro più oscuro e complesso, il film appare come un esercizio stilistico che predilige la posa all’autenticità: il titolo stesso “Io sono Rosa Ricci” sembra più un’etichetta estetica che un’affermazione profonda.
Una regia elegante ma intrappolata
Lyda Patitucci, che aveva mostrato ottime doti in Come pecore in mezzo ai lupi, si trova ingabbiata da una sceneggiatura che spiega tutto, persino l’ovvio. Ogni emozione è dichiarata, ogni conflitto tradotto in battuta. La regia tenta di mantenere un equilibrio tra tensione e pathos, ma la scrittura non le lascia spazio: le scene più intense appaiono studiate, mai vissute. Il risultato è un film visivamente curato, ma emotivamente rigido.
In definitiva
Io sono Rosa Ricci non è abbastanza ruvido per essere Gomorra, né abbastanza audace per superare i limiti di Mare Fuori. Si muove in una terra di mezzo, dove l’intenzione supera l’efficacia. Ci sono momenti di sincerità, soprattutto negli sguardi di Maria Esposito, ma il film non trova mai un tono proprio. L’unica cosa che realmente salviamo è Andrea Arcangeli, il cui talento recitativo spicca come un raggio di sole all’interno di questa cupa fotografia rosa.

