The ugly stepsister

Cenerentola, ma capovolta.
The Ugly Stepsister, diretto da Emilie Blichfeldt, prende una delle fiabe più raccontate di sempre e la trascina in un incubo lucido, dove la bellezza non è più un dono ma una condanna. È un film che ti spoglia, lentamente. Ti guarda dentro e ti costringe a guardarti, anche quando non vorresti.

Al posto della dolce protagonista troviamo lei, la sorellastra “brutta”. Nessuna magia, nessun lieto fine. Solo il suo desiderio di essere amata, di essere vista. Un corpo che urla, un’anima che si contorce sotto il peso dello sguardo altrui. È da lì che nasce tutto: un body horror che non spaventa per ciò che mostra, ma per ciò che ti fa sentire.

I dialoghi sono pochi, quasi superflui. Il vero linguaggio è quello del corpo, degli sguardi che feriscono, dei silenzi che pesano come colpe. La protagonista è straordinaria nel tradurre i pensieri ossessivi in micro-espressioni, in respiro trattenuto, in vergogna muta. Ti trascina dentro la sua mente senza dirti una parola.

La fotografia è cupa, tagliente, bellissima. Gialla e onirica quando la fantasia prende il sopravvento, fredda e metallica quando la realtà la risucchia. Cenerentola è brillante, patinata, quasi inarrivabile; mentre Elvira si muove in un mondo di ombre e riflessi deformati, come se la luce la rifiutasse.

I movimenti di camera si fanno complici dell’ossessione: indugiano troppo, fino a far male. Ogni inquadratura sul corpo della protagonista ti spinge a condividere l’orrore che lei stessa prova.
Il disagio ti si cuce addosso, esattamente come le ciglia finte cucite sulla sua pelle. Non c’è mostruosità esplicita, solo disturbo, un lento svelarsi della tensione che ti lascia senza fiato.

Ma è proprio lo sguardo sul corpo a rendere The Ugly Stepsister una riflessione universale.
Perché lo sguardo giudica, ferisce, marchia. E lo spettatore, inevitabilmente, diventa parte del gioco. Ti ritrovi a chiederti quante volte sei stato giudicato, e quante volte sei stato tu a giudicare. Una morale tagliente, che lacera la pelle e costringe a pensare a tutte le pressioni che abbiamo assorbito, nel tentativo disperato di essere accettati.

Il maschile è ridotto all’osso, spogliato di umanità. Uomini che parlano per cliché, immersi in “bro talk” vuote, chiacchiere da bar che oggettificano la donna e la riducono a merce, a trofeo. La protagonista viene esposta come un cane da fiera, sotto sguardi che cercano solo conferme del proprio potere.

In questo universo distorto, la bellezza è marcia. Persino Cenerentola, simbolo di purezza, si lascia contaminare dai piaceri della carne e dall’opportunismo. Qui mostra la sua vera natura: non la vittima, ma l’arrampicatrice sociale, pronta a sfruttare il sogno per riscrivere il proprio destino.

The Ugly Stepsister è una fiaba che non consola. È una cicatrice aperta. Un film che parla della fame d’amore e di come la società la corrompe, trasformandola in vergogna. Quando finisce, resta solo il silenzio e quel riflesso nello specchio che non riesci più a ignorare.

The Ugly Stepsister è al cinema, distribuito da IWonderPictures, dal 30 ottobre.

di Aida Picone

Guardo troppi film e parlo troppo velocemente, ma ho anche dei difetti!

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