Dracula: L’amore perduto è il nuovo film di Luc Besson, che rilegge l’archetipo del “mostro innamorato”, trasformando il conte transilvano da simbolo del male a figura tragica, segnata da un sentimento eterno. Il film, ambientato tra la Transilvania del XV secolo e la Parigi fin de siècle, segue la storia del principe Vladimir (Caleb Landry Jones), condannato a un’esistenza immortale come vampiro dopo la perdita della sua amata Elisabetta (Zoë Bleu). Secoli dopo, continua a vagare in cerca della reincarnazione del suo grande amore, mentre un sacerdote determinato (Christoph Waltz) tenta di porre fine alla sua maledizione. Completano il cast Matilda De Angelis, Ewens Abid e Guillaume de Tonquédec, in un dramma romantico e gotico che trasforma la leggenda di Dracula in una riflessione malinconica sull’eternità del desiderio.
Il vampiro come amante
Caleb Landry Jones, dopo la prova magistrale di Dogman, regala un’altra interpretazione intensa e tormentata. Il suo Vladimir è un uomo spogliato del mito, fragile e furioso, incapace di accettare la perdita. Jones modula la sua fisicità in modo quasi liturgico, alternando sussurri a improvvise eruzioni di dolore, trasformando la figura del vampiro in una presenza più lirica che terrificante. È la sua performance a dare al film una dimensione realmente umana, laddove la scrittura tende talvolta a disperdersi nella retorica del destino.
Tra romanticismo e fede
Al fianco di Jones, Zoë Bleu interpreta una Mina/Elisabetta sospesa tra ingenuità e inquietudine, mentre Christoph Waltz, nei panni di un prete che sostituisce il canonico Van Helsing, offre un antagonista ambiguo e composto, anche se la sua presenza resta più funzionale che davvero incisiva. L’idea di sostituire la caccia al vampiro con un confronto morale tra amore e fede è affascinante, ma non sempre trova un equilibrio narrativo: Besson privilegia la poesia all’azione, il sentimento al ritmo.
Belle Époque o tomba dorata
L’ambientazione nella Parigi di fine Ottocento, splendida ma artificiale, diventa lo specchio del film stesso: un’epoca luminosa che cela un’anima stanca. La fotografia privilegia la chiarezza e la saturazione cromatica, perdendo però quella sensualità oscura che il mito di Dracula richiederebbe. Tutto è bello da vedere, ma raramente evocativo. I costumi e la scenografia costruiscono un universo di eleganza fredda, dove il cuore batte più piano del previsto.
La musica come redenzione
A riscattare ogni eccesso estetico è la colonna sonora di Danny Elfman, che firma uno dei suoi lavori più ispirati degli ultimi anni. Le sue composizioni intrecciano malinconia e meraviglia, sospendendo il film in una dimensione quasi operistica. È grazie alla musica, più che all’immagine, che Dracula: L’amore perduto trova il suo respiro e la sua anima. Elfman riesce dove Besson sfiora soltanto: a trasformare il dolore in bellezza.
Un amore imperfetto
Nel complesso, Dracula: L’amore perduto è un film diseguale, diviso tra la volontà di reinventare il mito e il timore di abbracciarne davvero la follia. Besson sembra flirtare con il camp, ma si ferma sempre un passo prima del delirio che renderebbe il tutto irresistibile. Troppo serio per essere kitsch, troppo melodrammatico per essere autenticamente tragico, resta in una terra di mezzo: affascinante, ma irrisolto.
Eppure, in mezzo ai suoi squilibri, il film possiede momenti di autentica grazia – quando Jones si abbandona al silenzio, o quando la musica di Elfman solleva il racconto al di sopra della carne e del sangue. È un Dracula che non spaventa, ma commuove. Che non morde, ma accarezza. E forse, anche per questo, resta un esperimento imperfetto ma impossibile da ignorare.
Il film arriverà nelle sale italiane dal 29 ottobre, distribuito da Lucky Red in collaborazione con Sky Cinema.

